Ho il piacere di ospitare sul blog la dott.ssa Barbara Bove Angeretti che ci parla di educazione empatica. Ho raccolto una serie di vostre domande e le ho iviate alla dott.ssa la quale gentilmente ci ha risposto dandoci un quadro più preciso e chiaro sull’educazione empatica.
Con il termine “alto contatto” si definisce un tipo di accudimento che riguarda principalmente i primi anni del bambino e include: cosleeping e/o bedsharing, allattamento a termine, babywearing e in generale tutte quei comportamenti che favoriscono le cure prossimali*. Le necessità principali dei neonati riguardano il nutrimento, la protezione, le coccole e la vicinanza con la mamma.
Ma quando il bambino cresce? Finisce dell’alto contatto?
Direi di no. La caratteristica principale di questo approccio è l’ascolto del bambino, la comprensione dei suoi bisogni e la capacità di dare riscontro a queste richieste, di entrare in sintonia con lui e di capirne i sentimenti.
I bisogni del bambino cambiano crescendo, il nostro ruolo di genitori invece rimane immutato.
Noi continuiamo ad ascoltarlo e a dargli fiducia, ad accogliere le sue richieste, che non vuol dire necessariamente soddisfarle, ma farlo sentire compreso e condividere le sue esperienze.
Esempio: Giorgia vuole una bambola in un negozio, io non voglio comprarle un’altra bambola perché so che è una richiesta di attenzione e non esprime il bisogno di un nuovo gioco (ha già 3 bambole simili), quindi alla sua richiesta risponderò più o meno così “Giorgia che bellissima bambola! Ha i capelli rossi e il vestito giallo, mi piace molto e capisco che vorresti portarla a casa e giocarci, ma adesso non possiamo comprarla” se dovesse insistere le direi “capisco la tua delusione, ma a casa ci sono le tue tre bambole che non vedono l’ora di giocare con te! Quando torniamo a casa potremmo organizzare una gita con loro?” Così facendo comprendo il suo stato d’animo e accolgo anche la possibile reazione negativa, ma non soddisfo la richiesta.
La comunicazione empatica funziona bene quando il genitore dà l’esempio e guida il bambino nell’espressione dei suoi sentimenti, senza bloccarli, ma mostrando come gestirli.
Un genitore presente, consapevole e accogliente, favorisce lo sviluppo di un’autostima e di una competenza emotiva molto solide, andando quindi a costruire le fondamenta per uno sviluppo armonico di suo figlio.
L’educazione empatica o disciplina dolce propone un approccio naturale alla genitorialità e ci invita a guardare al bambino come ad un cucciolo di mammifero: allattamento al seno, contatto skin to skin, babywearing, sonno condiviso (co-sleeping e bed-sharing), autosvezzamento e tanti altri comportamenti che supportano l’idea di “assecondare i bisogni naturali”.
Il bisogno di contatto e di vicinanza infatti è stato inserito fra i bisogni primari dei cuccioli, al pari di quelli della fame e della sete, anzi sembra essere persino più intenso di questi ultimi (a tal proposito, si vedano gli esperimenti dei coniugi Harlow, sulle scimmie Rhesus, una delle scoperte a cui si è riferito John Bowlby nell’elaborare la sua teoria dell’attaccamento).
Assecondare i bisogni, accoglierli ed eventualmente soddisfarli secondo l’educazione empatica é quanto di più lontano esista da un atteggiamento lassista, cioè una modalità educativa eccessivamente permissiva e quasi indulgente, ormai riconosciuta come una forma genitoriale inadeguata e potenzialmente nociva per i bambini. La differenza tra i due consiste proprio nella costante presenza, attenzione e reciprocità che il genitore offre al figlio, approcciandosi in maniera dolce e rispondente, comportamento alla base di un attaccamento sicuro.
Educazione empatica significa aiutare i bambini a crescere con amore, vivere insieme le scoperte e aiutarli a capire i limiti senza usare paura e intimidazione, senza usare premi o punizioni, ma essendo presenti in qualità e quantità di tempo. I piccoli imparano così i nostri valori e assimilano le regole non per imposizione o per paura di un castigo, ma per comprensione. Questo contribuirà a formare la loro autonomia intellettuale e a sviluppare il senso critico, che sono alcuni degli strumenti migliori che possiamo fornire loro per affrontare le sfide della vita con indipendenza e sicurezza nelle proprie capacità.
- Esattamente di cosa si tratta?
È un approccio che usa l’empatia come strumento educativo.Collaborazione, comprensione, accoglimento e rispetto sono alcuni dei concetti chiave su cui si basa l’educazione empatica.Premi, punizioni, castighi, violenza verbale, non sono considerati strumenti accettabili.
- Essere autorevoli ma dolci è possibile? Come? Certo, è possibile perché l’autorevolezza passa attraverso la coerenza e l’esempio. Educazione empatica non significa lassismo, tutt’altro! Significa mettersi nei panni dell’altro e modulare la comunicazione verso la collaborazione.
- Come gestire le tipiche crisi isteriche di un bambino di 3 anni?
Comincio subito col dire che non mi piace il termine. “Isterico” si riferisce solitamente a un comportamento irrazionale, immotivato, incontrollabile e insensato. Nessun bambino si comporta in questo modo. “isterico” come “capriccioso” sono termini che usano gli adulti per definire un comportamento o una richiesta che non capiscono.Quindi come prima cosa consiglierei di mettersi davvero in ascolto attivo, per comprendere prima di tutto la richiesta che ci viene fatta.
- In che cosa consiste e in che modo si mette in atto?
L’educazione empatica è un approccio educativo e comunicativo rispettoso dei tempi, dei modi e della fisiologia del bambino. Si mette in pratica attraverso comportamenti quotidiani e tempo da dedicare ai bimbi per fare un percorso insieme come genitori e figli in cui i primi dovrebbero essere di esempio.Forse a questa domanda sarebbe più immediato rispondere con un esempio:Amelie (3 anni) è al supermercato con i genitori a fare la spesa quando vede una bellissima macchina verde e chiede alla mamma di comprarla.La mamma risponde immediatamente di no, senza pensare e Amelie comincia a piangere urlare e protestare.A questo punto la mamma potrebbe abbassarsi vicino ad Amelie e dirle “Amore scusa, non ho prestato abbastanza attenzione alla tua richiesta, ti piace quella macchina?”Amelie: “si!!!! La voglio!!!!”Mamma: “hai ragione, piace anche a me, è molto bella, con quelle ruote giganti!!”Amelie: “si vero? La vorrei per giocare con Giorgio”Mamma: “capisco cara, sarebbe bello poter aggiungere un’altra macchinina alla collezione, ma oggi proprio non possiamo comprarla perché dobbiamo comprare tante altre cose tra cui i colori che ti servono all’asilo”Amelie: “ma io la vogliooooo”Mamma: “vedo che sei delusa amore, sarei felice di comprarla, ma oggi proprio non possiamo”Cosa ho fatto in questo caso? Ho solamente accolto una richiesta di attenzione e condivisione anche se non l’ho soddisfatta (non ho comprato la macchinina). Quando una richiesta viene accolta, il 99% del “lavoro” è fatto. Accogliere non significa soddisfare.
- È giusto sgridare o c’è un modo diverso da mettere in atto per farsi ascoltare?
Io sono ovviamente contraria alle urla, alle sgridate ecc.Ciò che insegno nelle mie consulenze è proprio che esiste un modo diverso per avere collaborazione e aiuto nella pratica a capire come gestire una situazione difficile che può essere quotidiana, come per esempio gestire i momenti critici e tipicamente conflittuali o contingente come l’inserimento a scuola o l’arrivo di un fratellino/sorellina, il rientro della mamma a lavoro ecc.
Se volete una consulenza personalizzata o farle delle domande potete contattate la dott.ssa qui